di Marinella Lombardi
Avete paura di volare in aereo? Allora, allacciate le cinture e tenetevi saldi alle pagine del libro!
“Sto facendo il periplo del mondo. Sto sorvolando il Pacifico da qualche parte al largo della Nuova Guinea sul mio bimotore Lockheed Electra e mi sono smarrita. Guardo il cielo inarcarsi e gonfiarsi e di tanto in tanto mi pare di vederlo fremere…
Earhart chiama Itasca. Siamo nel punto ma non riusciamo a sentirvi.
… fuori dal finestrino, il firmamento, vuoto e pieno di significato, dispiegato come una collana.”
Voleva vivere ma le venne in mente che morire potesse essere bello quanto volare.
In questa una trama di colori, sospiri ed emozioni, Amelia comincia a ricordare: la vita che ha rischiato, il cielo che ha sfidato. La vita più reale della morte. Perché quello che sa è che la vita che ha vissuto da quando è morta la sente “più reale di quella vissuta in precedenza.” Così pensa la protagonista del singolare e bellissimo romanzo Ero Amelia Earhart di Jane Mendelsohn. Una vicenda sospesa fra la realtà documentata e la finzione letteraria. Dove la prima si arresta, si accenda vivissima l’altra.
Anni Trenta del secolo scorso, gli albori dell’era dei voli. Infatti “gli aerei erano veicoli per sognare. Erano forti e sinuosi, virili e femminili, nel contempo, giocattoli meccanici quasi all’antica e vascelli che portavano il futuro. Appena si vedeva un aereo si cominciava a sognare… Gli aerei erano diversi dai transatlantici. Non erano grandi, erano intimi… Erano in molti a ritenere che l’aereo non fosse per la gente reale. Che fosse una specie di balocco…”
Nel 1937, a 39 anni, Amelia Earhart è famosa. Ha effettuato la trasvolata atlantica, nel 1928 come ospite e bagaglio al seguito (“dovevo accettare le loro condizioni, altrimenti non sarei mai riuscita a fare carriera come pilota”) e poi in solitaria, nel 1932, come pilota. La prima aviatrice, Lady Lindy, come viene soprannominata. Amelia è una donna intrigante e di gran fascino, anche se non ha un “solo osso altruista e materno” in quel corpo mascolino e muscoloso. Indossa con conturbante noncuranza pantaloni marroni di pelle e camicetta bianca di seta ed è infatuata degli uomini che stabiliscono le regole. Eppure dipende dal marito, l’editore G.P. Putnam, che finanzia i voli della moglie con i profitti dei libri e della pubblicità. Ma vuole volare e compiere il giro del mondo, perché contiene tutto ciò che porta dentro di sé: la vita e la morte. “Voglio prendere dentro di me la vita e la morte e farne qualcosa”. E così parte e sparisce il 2 luglio 1937, in un punto imprecisato al largo della Nuova Guinea. Con lei, il navigatore Fred Noonan, un uomo affascinante, inaffidabile, alcolizzato. Di loro, del bimotore Electra, nessuna traccia.
Una penna incantata, una storia sospesa a mezz’aria, un tocco squisito e delicato che esplora, indaga, ricostruisce i meccanismi della sensibilità femminile, l’anelito alla libertà, all’avventura. All’oltre, in ogni senso. Una scrittura accattivante, liquida, cromatica, che dà voce a una figura indomita che propugna un messaggio di grande attualità: è giusto “che le donne facciano le stesse cose che fanno gli uomini e anche quelle che gli uomini non hanno il coraggio di fare”. Perché ciascuno di noi ha i propri oceani da attraversare per riuscire, finalmente, a muoversi in tre dimensioni.
“Sto facendo il periplo del mondo. Sto sorvolando il Pacifico da qualche parte al largo della Nuova Guinea sul mio bimotore Lockheed Electra e mi sono smarrita. Guardo il cielo inarcarsi e gonfiarsi e di tanto in tanto mi pare di vederlo fremere…
Earhart chiama Itasca. Siamo nel punto ma non riusciamo a sentirvi.
… fuori dal finestrino, il firmamento, vuoto e pieno di significato, dispiegato come una collana.”
Voleva vivere ma le venne in mente che morire potesse essere bello quanto volare.
In questa una trama di colori, sospiri ed emozioni, Amelia comincia a ricordare: la vita che ha rischiato, il cielo che ha sfidato. La vita più reale della morte. Perché quello che sa è che la vita che ha vissuto da quando è morta la sente “più reale di quella vissuta in precedenza.” Così pensa la protagonista del singolare e bellissimo romanzo Ero Amelia Earhart di Jane Mendelsohn. Una vicenda sospesa fra la realtà documentata e la finzione letteraria. Dove la prima si arresta, si accenda vivissima l’altra.
Anni Trenta del secolo scorso, gli albori dell’era dei voli. Infatti “gli aerei erano veicoli per sognare. Erano forti e sinuosi, virili e femminili, nel contempo, giocattoli meccanici quasi all’antica e vascelli che portavano il futuro. Appena si vedeva un aereo si cominciava a sognare… Gli aerei erano diversi dai transatlantici. Non erano grandi, erano intimi… Erano in molti a ritenere che l’aereo non fosse per la gente reale. Che fosse una specie di balocco…”
Nel 1937, a 39 anni, Amelia Earhart è famosa. Ha effettuato la trasvolata atlantica, nel 1928 come ospite e bagaglio al seguito (“dovevo accettare le loro condizioni, altrimenti non sarei mai riuscita a fare carriera come pilota”) e poi in solitaria, nel 1932, come pilota. La prima aviatrice, Lady Lindy, come viene soprannominata. Amelia è una donna intrigante e di gran fascino, anche se non ha un “solo osso altruista e materno” in quel corpo mascolino e muscoloso. Indossa con conturbante noncuranza pantaloni marroni di pelle e camicetta bianca di seta ed è infatuata degli uomini che stabiliscono le regole. Eppure dipende dal marito, l’editore G.P. Putnam, che finanzia i voli della moglie con i profitti dei libri e della pubblicità. Ma vuole volare e compiere il giro del mondo, perché contiene tutto ciò che porta dentro di sé: la vita e la morte. “Voglio prendere dentro di me la vita e la morte e farne qualcosa”. E così parte e sparisce il 2 luglio 1937, in un punto imprecisato al largo della Nuova Guinea. Con lei, il navigatore Fred Noonan, un uomo affascinante, inaffidabile, alcolizzato. Di loro, del bimotore Electra, nessuna traccia.
Una penna incantata, una storia sospesa a mezz’aria, un tocco squisito e delicato che esplora, indaga, ricostruisce i meccanismi della sensibilità femminile, l’anelito alla libertà, all’avventura. All’oltre, in ogni senso. Una scrittura accattivante, liquida, cromatica, che dà voce a una figura indomita che propugna un messaggio di grande attualità: è giusto “che le donne facciano le stesse cose che fanno gli uomini e anche quelle che gli uomini non hanno il coraggio di fare”. Perché ciascuno di noi ha i propri oceani da attraversare per riuscire, finalmente, a muoversi in tre dimensioni.
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